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American Pastoral dal libro di Philip Roth al film di Ewan McGregor

by - 11:03



Lo diciamo e lo continueremo a ribadire fino all'eternità: certi libri non hanno una fisionomia tale da permettere loro di essere trasposti facilmente e dignitosamente sul grande e piccolo schermo
La capacità che ha un'ottima prosa di serpeggiare tra le pieghe della mente umana, di spingersi e spingere tra alti e bassi, di correre, fermarsi, prendere respiro, e ripartire in un «folle volo», non sono certo da tutti. Per i più fortunati che possiedono una mente al di sopra, può volerci una vita intera, e un labor limae infinito. Mi chiedo allora cosa, cosa, cosa, passa nella mente di chi, quasi allo sbaraglio, prende in prestito una materia tanto preziosa.

La storia, da cui trae a piene mani un Ewan McGregor esordiente regista, è ovviamente quella dell'omonimo libro di Philip Roth, Pastorale americana, premio Pulitzer nel 1997, e se volete potete recuperarla qui unitamente ad una mia recente recensione.
Non è la prima volta che un romanzo di Roth viene trasposto sullo schermo: tra i più famosi basti pensare a La macchia umana con Anthony Hopkins e Nicole Kidman, o al recentissimo Indignation di James Schamus mai approdato nelle sale italiane. Gli esiti però non sono mai stati  molto convincenti. Misurarsi con Pastorale americana, libro tra i più venduti, amati e acclamati di Roth, non si figurava dunque sin da subito come un'impresa facile, anche volendo momentaneamente accantonare il problema della sua intrinseca complessità, stilistica e tematica.

Quello che mette in scena McGregor è una estrema banalizzazione dei tanti cuori pulsanti della narrazione, per tutta una serie di motivi. 
Innanzitutto rimane, con mio estremo iniziale sollievo, la iniziale voce narrante di Nathan Zuckerman, che però viene ridotta quasi ad una macchietta di se stessa. Completamente appiattita la complessità psicologia del personaggio, che nel libro accompagna il lettore per un buon quarto della narrazione, esso si riduce a puro nodo di raccordo tra l'inizio e la fine della pellicola, affidandogli per altro in sede di doppiaggio italiano la voce di Mario Cordova (famoso doppiatore di Richard Gere, per intenderci) che stride prepotentemente con quella che è la tonalità grigia e a tratti disperata del Zuckerman di carta.

Ewan McGregor e Dakota Fanning.
Tutto poi procede all'insegna di questo appiattimento. Innanzitutto lui, il protagonista, lo Svedese, interpretato dallo stesso Ewan McGregor che finisce per risultare del tutto inadatto alla complessità del personaggio: certo, il suo visino angelico, pulito e onesto, lo rendevano un candidato ideale per un integerrimo self-made man come lo Svedese, ma è evidente che questo non basta. La sua interpretazione non riesce difatti ad andare oltre ad un patetismo di fondo che il personaggio cartaceo conosce solo in minima parte: è vero il Seymour Levov di Roth suscita un po' di pena e soprattutto empatia, ma lasciando sempre in mente l'interrogativo di fondo che non può che vedere in lui qualche mancanza, qualche profonda pecca, qualche lato oscuro, che è poi forza motrice dell'intera vicenda.

Lo Svedese di McGregor è così integerrimo e privo di ombre che, ad esempio, bypassa completamente uno dei nodi cruciali dei sensi di colpa del personaggio cartaceo: quello del famoso bacio dato sulla bocca della piccola Merry che si appresta a diventare una giovane adolescente. Il Seymour Levov di Roth darà quel bacio pieno di innocenza per poi farselo pesare addosso come un macigno per l'intera vita. Il Seymour Levov di McGregor lo rifiuterà con asprezza, relegandolo nelle categorie "nere" della sua mente dicotomica, che mai sbaglia.
Davanti ad American Pastoral si ha quasi l'impressione che il meraviglioso e tenerissimo Edward Bloom di Big Fish sia stato catapultato in una dimensione a lui estranea.

La famiglia Levov. Il ruolo della piccola Merry è
interpretato da Ocean James.
Ottima è stata invece la scelta di Jennifer Connelly nei panni della fulgida e bellissima Dawn Dwyer. I suoi occhi così penetrarti e di ghiaccio, la sua statuaria, ma al contempo piena di una sobria carica esplosiva, presenza convincono con forza, soprattutto nel precipizio finale della narrazione.
E Merry Levov? Il personaggio certamente più sfuggente e complesso dell'intera storia, tale soprattutto perché il suo punto di vista non è mai offerto in maniera diretta al lettore/spettatore, ma è sempre mediato dal punto di vista dello Svedese. Sicuramente però una caratteristica le è propria: l'essere sempre sopra le righe, sia da bambina, sia soprattutto da adolescente. E in questo senso l'interpretazione di Dakota Fanning sembra funzionare discretamente, senza però assurgere a chissà quali vette, che forse qualcun' altro sarebbe stato in grado di toccare con un tale personaggio tra le mani.

Infine, aggiungiamo anche qualche appunto su quello che è uno dei grandi e non troppo silenziosi protagonisti della vicenda: la Storia americana. Ecco, questa è forse una delle banalizzazioni che meno facilmente si perdonano. È evidente che la Storia rappresenta nel film soltanto uno sfondo in cui si muovono i personaggi, anche nelle scene in cui essa dovrebbe fare da padrone: penso al momento in cui la fabbrica di guanti di Newark viene presa di mira dalla guerriglia urbana scatenatasi nel New Jersey sul finire degli anni '60, trasformato nel film in un'ennesima conferma dell'estrema ingiustizia subita dallo Svedese. Non c'è traccia di quella caduta dell'American Dream che nel libro tanto viene ribadito: McGregor ci racconta il dramma di un uomo, non quello di un'intera nazione. 
Non è l'american way of life ad essere colpito dunque, e lo dimostra anche il preciso finale scelto dal regista. Manca infatti quel precipizio finale in cui Roth decide di scagliare i propri personaggi (tutti, senza esclusione di colpi, compresi gli interessantissimi Lou e Jerry Levov nella pellicola quasi totalmente ignorati) e invece si opta per una sorta di riscatto consolatorio che in definitiva fa di American Pastoral un film sufficientemente piacevole per chi non è passato dalla penna dello scrittore ebreo del New Jersey, ed estremamente deludente per via della voluta ingenuità del regista per chi invece l'ha fatto.

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10 commenti

  1. Mi attrae sempre più l'idea di leggere il più celebre dei romanzi di Roth e a questo aggiungo il vederne la sua trasposizione. Se tradurre in immagini filmate e montate un ottimo romanzo è già di per sé difficile, farlo male è avvilente per chi assiste alla banalizzazione di cui tu parli.

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    1. Dopo averti tanto spinta in questa direzione, giuro che mi prenderò la colpa se non ti piacerà Pastorale americana ^^
      Scherzi a parte, hai ragione, un po' avvilente lo è stato. Forse un regista "d'autore" avrebbe fatto meglio, non so. Tra l'altro ho letto che lo sceneggiatore di American Pastoral prima di questo film si è occupato soltanto di televisione, dove spesso la banalizzazione e la semplificazione sono un imperativo morale. Mi chiedo davvero il perché di questa scelta.

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    2. Ho seguito un paio di servizi in tv che hanno usato parole lusinghiere verso questa trasposizione. Sai, alla fin fine emerge che sia un film diretto e interpretato da uno degli attori più in vista del panorama americano. Insomma, noi, che siamo "puristi" avremo sempre da osservare aspetti che al grosso pubblico sono ignoti.

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    3. Sai non stento a credere che la critica più mainstream l'abbia apprezzato! Quanto però sia stato accolto negativamente in America, dove Roth è considerato un intoccabile però la dice abbastanza lunga. Anche loro dei puristi, mi sa :)

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  2. Mamma mia -_- mi hai sufficientemente spaventata XD Non so se vedrò il film, nemmeno per sola curiosità...
    Pastorale americana non è il libro che preferisco di P. Roth (non ne ho neppure letti molti) ma sicuramente ha una forza che tu hai saputo descrivere perfettamente: ecco, se viene completamente ignorata, non so se il film vale una visione. Perché a questo punto non si tratta di una rielaborazione, anche se magari particolarmente distante dal romanzo, ma di un'operazione abbastanza estrema...

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    1. Bravissima, è proprio un'operazione a parte, come se si fosse preso il romanzo per scrollargli via di dosso tutta la meravigliosa complessità che possiede! Magari fosse stata una rielaborazione, almeno lì un disegno complessivo dietro si sarebbe visto... Comunque io un'opportunità ,per puro istinto di curiosità, fossi in te gliela darei. Ognuno alla fine ha una sua visione delle cose, magari tu nel film riuscirai a vedere qualcosa che io non ho scorto :)

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  3. Ecco, allora i critici americani che l'avevano stroncato avevano ragione.
    Non mi sorprende, e non perché non abbia fiducia nell'esordiente Ewan McGregor, ma perché un romanzo come Pastorale americana lo ritengo intoccabile. Come fai, con tutta la buona volontà e il talento di questo mondo, a trasporre un'opera di questo livello?
    Io devo ancora vederlo e lo farò comunque per farmi un parere tutto mio, ma sono già un po' scettica...Ti farò sapere ;)

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    1. Pensavo giusto a te! Ne avevamo discusso tempo fa, ricordo. Guardalo, guardalo, attendo poi con ansia la tua opinione, anche se credo di sapere più o meno quale sarà.

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  4. La tua non è la prima recensione che ribadisce questo punto: il film non è che la banalizzazione e la "compressione" dei temi racchiusi nel romanzo.
    Io lessi Pastorale americana molti anni fa ed ero decisamente troppo giovane, col senno di poi. Non mi dispiacque, ma non lo capii. Da allora non mi avvicinai più a Roth mentre ora, nel leggere recensioni di film che, inevitabilmente, fanno riferimento al libro, mi viene voglia di riprenderlo, e proprio a partire da questo libro.

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    1. Potrebbe essere effettivamente un'ottima occasione per ripescarlo :)
      Anche io ricordo che mi approcciai a Pastorale Americana la prima volta intorno ai 19 anni, quando mi fu prestato da un'insegnante. Non ero piccolissima, ma non ero nemmeno abbastanza matura, soprattutto da un punto di vista letterario, per capirlo e apprezzarlo. Concediti a Roth, ti sorprenderà.

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