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A 100 anni dalla nascita di Natalia Ginzburg

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Il 14 luglio 1916 nasceva a Palermo Natalia Ginzburg.
Oggi, dunque, avrebbe compiuto cento anni. Un anniversario non da poco, se pensiamo all'importanza che la Ginzburg ha rivestito nel panorama culturale italiano del secondo Novecento. Premio Strega nel 1963 con Lessico famigliare, autrice di numerosi romanzi e racconti acclamati da pubblico e critica, attivamente impegnata nel mondo giornalistico e politico, membro essenziale della squadra di Giulio Einaudi nei suoi più fulgidi albori, intellettuale, donna, madre, combattente contro ogni ideologia fascista. Eppure ho l'impressione che, a parte qualche evento (soprattutto nella Torino che la ospitò per tanti anni), questo anniversario stia passando piuttosto inosservato, soprattutto nel mercato editoriale. Poteva essere un'ottima occasione per promuovere studi critici, biografie, o addirittura scritti inediti di questa straordinaria scrittrice, no? Invece quasi tutto tace.

Se la colpa di ciò sia riservata, come spesso capita, al suo essere donna in un mondo, come quello letterario e critico italiano, dominato da uomini, non lo saprei dire con certezza. Ma tant'è.
In ogni caso, io il mio piccolo omaggio voglio riservarglielo, e lo farò soprattutto attraverso le parole di uno tra i suoi romanzi certamente più riuscito e sentito: Lessico famigliare, una biografia, se vogliamo, della famiglia di Natalia e di una precisa epoca, quella a cavallo tra gli anni '20 e l'immediato secondo dopo guerra, grazie anche allo strumento più vivo degli esseri umani, il linguaggio, il lessico che ci caratterizza e le memorie che esso si porta dietro.
Dicevamo che Natalia Ginzburg nacque a Palermo nel 1916. Il padre era Giuseppe Levi, uno scienziato e intellettuale ebreo-triestino, la madre Lidia Tanzi lombarda e cattolica. Due personalità tanto singolari, quanto per certi versi opposte e complementari l'un l'altra:
Le cose che mio padre apprezzava e stimava erano: il socialismo; l'Inghilterra; i romanzi di Zola; la fondazione Rockefeller; la montagna e le guide della Val D'Aosta. Le cose che mia madre amava erano: il socialismo; le poesie di Paul Verlaine; la musica e, in particolare, il Lohengrin, che usava cantare per noi la sera dopo cena.  [pp.21-22]
La vocazione antifascista è molto forte in casa, tra tutti i membri della famiglia, forse tanto quanto la vocazione ad una pacifica litigiosità e alla dialettica:
Quanto alla politica, si facevano in casa nostra discussioni feroci, che finivano con sfuriate, tovaglioli buttati all'aria e porte sbattute con tanta violenza da far rintronare la casa. Erano i primi anni del fascismo. Perché discutessero con tanta ferocia, mio padre e i miei fratelli, non so spiegarmelo, dato che, come io penso, eran tutti contro il fascismo; l'ho chiesto ai miei fratelli in tempi recenti, ma nessuno me l'ha saputo chiarire. [p.35]
La Ginzburg difatti fu l'ultima di cinque fratelli: Gino «serio, studioso, tranquillo, non picchiava nessuno dei suoi fratelli; andava bene in montagna», Albero e Mario «due ragazzi ormai grandi, fortissimi, che quando si prendevano a pugni si facevano del male» e Paola che «avrebbe voluto tagliarsi i capelli, portare i tacchi alti e non le scarpe mascoline e robuste [...] andare a ballare in casa delle sue amiche, e giocare a tennis».

Leone e Natalia Ginzburg.
In questo microcosmo si muove la famiglia Levi e attorno a lei il meglio dell'antifascismo e dell'intelligenjia torinese, e non solo: abbiamo Adriano Olivetti, futuro marito di Paola Levi, che «aveva un'aria molto malinconica [...] era timido e silenzioso; ma quando parlava, parlava allora a lungo e a voce bassissima, e diceva cose confuse ed oscure, fissando il vuoto coi piccoli occhi celesti, che erano insieme freddi e sognanti»; Filippo Turati, che per qualche tempo si rifugiò presso la famiglia Levi, sotto lo pseudonimo di Paolo Ferrari «vecchio, grande come un orso e con la barba grigia, tagliata in tondo. Aveva il collo della camicia molto largo, e la cravatta legata come una corda. Aveva mani piccole e bianche; e sfogliava un raccolta delle poesie di Carducci, rilegata in rosso»; e poi ancora, ovviamente, Leone Ginzburg, futuro marito di Natalia, attivo insieme a Cesare Pavese presso la casa editrice di Giulio Einaudi. Molto buffo è, come sempre, il ritratto che ce ne restituisce la Ginzburg secondo la prospettiva del padre:
- Cos'ha da fare Mario con quel Ginzburg? - disse a mia madre. Mia madre s'era messa, da qualche tempo, a studiare il russo «per non stufarsi» e prendeva lezioni [...] dalla sorella di Ginzburg. - È uno, - disse mia madre, - coltissimo, intelligentissimo, che traduce dal russo e fa delle bellissime traduzioni. - Però - disse mio padre, - è molto brutto. Si sa, gli ebrei son tutti brutti. - E tu?- disse mia madre, - tu non sei ebreo? - Difatti anch'io son brutto, - disse mio padre. [p.96]
Mentre il regime fascista allarga le basi del proprio potere, Carlo Levi appare sempre più scoraggiato nella prospettiva di contrastarlo, mentre Lidia Tanzi rimane fiduciosa:
Quanto a mia madre, lei aveva un'indole ottimista, e aspettava qualche bel colpo di scena. Aspettava che qualcuno un giorno, in qualche modo, «buttasse giù» Mussolini. Mia madre usciva, la mattina, dicendo: - Vado a vedere se hanno buttato giù Mussolini -. Raccoglieva allusioni e voci nei negozi, e ne traeva auspici confortevoli. A pranzo, diceva a mio padre: - C'è in giro una grandissima scontentezza. La gente non ne può più. - Chi te l'ha detto? - urlava mio padre. - Me l'ha detto, - diceva mia madre, - il mio verduriere - . Mio padre sbuffava con disprezzo. [pp.94-95]

È in questi dialoghi che emerge tutta la bellezza dell'universo familiare ginzburghiano: il padre sempre burbero e accigliato, un ometto collerico e pieno d'energia, la madre sognatrice, un po' svampita, ma profondamente buona; nel mezzo i figli, e i loro amici, le nuove generazioni che hanno fatto la Resistenza, pagandone tutte le conseguenze. Ben presto quasi l'intera famiglia Levi si ritroverà divisa, tra il carcere, l'esilio forzato e il confino, mentre Natalia si affaccia alle soglie della maturità  e nel 1938 sposa Leone Ginzburg, adottandone, per l'intera carriera letteraria da lei intrapresa, il cognome, ed entrando a far parte del meraviglioso cenacolo che si riuniva attorno alla casa editrice di Giulio Einaudi:
Cercarono di convincere Pavese a lavorare con loro. Pavese recalcitrava [...] aveva una supplenza in un liceo. Guadagnava poco, ma gli bastava. Poi faceva traduzioni dall'inglese. Aveva tradotto Moby Dick. L'aveva tradotto, diceva per suo puro piacere; e l'avrebbero sì pagato, ma l'avrebbe fatto anche per niente, anzi avrebbe pagato lui stesso per poterlo tradurre [...] Leone e l'editore, ogni tanto, si litigavano. Non si parlavano per qualche giorno. Poi si scrivevano lunghe lettere, e si riconciliavano così. Pavese, lui «se ne infischiava». Leone, la sua passione vera era la policy. Tuttavia aveva, oltre questa vocazione essenziale, altre appassionate vocazioni, la poesia, la filologia, la storia. [p.132]
Giulio Einaudi e Natalia Ginzburg.
Anche Leone e Cesare Pavese, come sappiamo, patirono la realtà del confino, da cui in particolare Giulio Einaudi intanto, prima e dopo la guerra, raccoglie attorno a sé il meglio della realtà culturale italiana, ampliando la casa editrice, trasformando la sua timidezza in un «grande strumento di lavoro. Quella timidezza era diventata una forza, contro la quale gli estranei venivano a sbattere come farfalle sbattono abbagliate su un lume».
quest'ultimo rimase profondamente segnato.
Arrivano le leggi razziali, e Carlo Levi si rifugia in Belgio, per qualche tempo insieme alla moglie; arriva il confino in Abruzzo per Leone, che sarà seguito da Natalia, già madre di due bambini piccoli; arriva la guerra, l'armistizio, e infine la morte di Leone, catturato e torturato dai tedeschi nelle carceri del Regina Coeli. Sono tra le più cupe dell'intero libro queste pagine di Lessico famigliare: mentre la guerra ha diviso la famiglia, Natalia molto giovane si ritrova ad affrontare pesantissime perdite e la solitudine del confino:
Ricevetti una lettera di mia madre. Era anche lei spaventata e non sapeva come aiutarmi. Pensai allora per la prima volta nella mia vita che non c'era per me protezione possibile, che dovevo sbrigarmela da sola. Capii cha c'era stata sempre in me, nel mio affetto per mia madre, la sensazione che lei m'avrebbe, nelle disgrazie, protetto e difeso. Ma ora restava in me l'affetto soltanto, e ogni richiesta e attesa di protezione era da quell'affetto scomparsa, e anzi pensavo che forse avrei dovuto io in avvenire proteggerla e difenderla, perché era ormai, mia madre, molto vecchia, avvilita e indifesa. [p.167]
Solo l'amicizia con Pavese, Einaudi, Adriano Olivetti, e tutti i personaggi della casa editrice, dona a Natalia la forza di andare avanti, nell'immediato dopoguerra, di sviluppare le proprie straordinarie capacità letterarie e critiche, fino a diventare membro essenziale della Giulio Einaudi editore. Lo sguardo che, da allora in poi, la Ginzburg lancerà sulla realtà politica e letteraria italiana, sarà estremamente lucido, e la accompagnerà negli anni avvenire senza mai venir meno. Ecco, ad esempio, come racconta al lettore quella straordinaria stagione per l'arte italiana, che passò sotto il nome di Neorealismo, subito all'indomani della guerra, e l'inevitabile scoramento che ne seguì:
Era, il dopoguerra, un tempo in cui tutti pensavano d'essere dei poeti, e tutti pensavano d'essere dei politici; tutti s'immaginavano che si potesse e si dovesse anzi far poesia di tutto, dopo tanti anni in cui era sembrato che il mondo fosse ammutolito e pietrificato e la realtà era stata guardata come di là da un vetro, in una vitrea, cristallina e muta immobilità [...] Ma poi avvenne che la realtà si rivelò complessa e segreta, indecifrabile e oscura non meno che il mondo dei sogni; e si rivelò ancora situata di là dal vetro, e l'illusione di aver spezzato quel vetro si rivelò effimera. Cosí molti si ritrassero presto sconfortati e scorati; e ripiombarono in un amaro digiuno e in un profondo silenzio. Cosí il dopoguerra fu triste, pieno di sconforto dopo le allegre vendemmie dei primi tempi. Molti si appartarono e si isolarono di nuovo o nel mondo dei loro sogni, o in un lavoro qualsiasi che fruttasse da vivere, un lavoro assunto a caso e in fretta, e che sembrava piccolo e grigio dopo tanto clamore; e comunque tutti scordarono quella breve, illusoria compartecipazione alla vita del prossimo. [pp.171-172]

Cesare Pavese e Maria Bellocci,
durante la premiazione del
 Premio Strega del 1950.
Giungono gli anni '50, e con loro la perdita di un ennesimo amico, Cesare Pavese, morto suicida. Sorprende ancora una volta la lucidità con cui la Ginzburg conduce la narrazione di eventi così nefasti, analizzandoli quasi con distacco, raccontandoci come Pavese «non aveva, in fondo, per uccidersi alcun motivo reale. Ma compose insieme più motivi e ne calcolò la somma, con precisione fulminea».
Con il nuovo decennio, giunge però la possibilità di un nuovo inizio per la scrittrice: il matrimonio con Giuseppe Baldini, dal quale avrà due figli, il trasferimento a Roma e l'abbandono della sede torinese dell'Einaudi per quella capitolina, e dunque l'abbandono di un mondo nel quale e grazie al quale era cresciuta, come persona e come scrittrice. E in mezzo a tutti questi cambiamenti, con la guerra ormai definitivamente alle spalle, e una nazione intera che sembra riscoprire le proprie possibilità, continua quasi immutata la vita della famiglia Levi, fatta delle proprie abitudini e ritmi incalzanti, dei propri pensieri e immagini, in definitiva del proprio lessico che tanto ne determina la bellezza:
- Però a Roma devi imparare a punciottare! - disse mia madre - O sennò devi trovarti una donna che sia brava a punciottare! Trovati una sarta che venga in casa, un po' come la Teresina. Chiedi alla Lola. La Lola ce l'avrà una sarta in giornata! Oppure chiedi all'Adele Rasetti. Vai a trovare l'Adele Rasetti, che è così simpatica! Mi piace tanto l'Adele! [...] Guarda di andare a trovare subito l'Adele! - disse mio padre. - Guai a te se non ci vai! Non voglio che fai l'asina con l'Adele! Voialtri siete tutti degli asini. Meno Gino siete tutti degli asini con la gente, voialtri! Mario è un asino. Dev'esser stato un asinissimo con la Frances quando è andata a Parigi a trovarli! Gli deve aver dato poco spago. E lei m'ha fatto capire che la casa era molto in disordine, al solito!

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7 commenti

  1. Un bellissimo ed emozionante omaggio ad una scrittrice, come dici tu, ingiustamente messa da parte, come tante altre sue colleghe, credo proprio per il fatto di essere donne... e dire che la Ginzburg ha anche avuto un grande rilievo all'interno della casa editrice Einaudi e nella politica del secondo dopoguerra.

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    1. Inevitabilmente non ho potuto, nella mia mente, fare il paragone con i quarant'anni dalla morte di Pasolini, caduti proprio qualche mese fa. Certo, parliamo di scrittori e intellettuali di fama diversa, parliamo anche di anniversari diversi (la morte violenta di Pasolini ancora affascina ed è studiata), però... Nel primo caso non si sono contate le pubblicazioni, le riedizioni, in quello della Ginzburg invece quasi tutto tace. Un'opportunità davvero sprecata.

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  2. Amo moltissimo la scrittura di Natalia Ginzburg e recentemente ho riletto, con rinnovato piacere, Lessico Famigliare, un capolavoro della nostra letteratura.
    Voglio solo dire che fortunatamente non tutti si sono dimenticati del centenario di Natalia Ginzburg: su Radio 3 (non a caso la mia radio preferita da circa 20 anni) la stanno ricordando eccome e anzi, in questi giorni nel bellissimo programma "Ad alta voce" la bravissima Sandra Toffolatti sta leggendo "a puntate" lo splendido romanzo "Le voci della sera", altro capolavoro!
    Complimenti per l'articolo e per il blog tutto e buona, buonissima estate!!! :)

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  3. Hai ragione, devo dire che sul web ho letto tanti articoli e tante iniziative! Questo consola :) Radio 3 poi è straordinaria, gestita da grandi menti davvero. Buona estate anche a te Orlando!

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  4. Tempo fa iniziai a leggere Lessico famigliare, ma lo lasciai perdere poco dopo perché non riuscivo a "entrarci". Mi rammarico molto di questa cosa, di questa mancanza, considerando anche la mia età e gli studi umanistici che ho fatto. Mi imporrò di riprovarci perché stimo la Ginzburg a prescindere!

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  5. Certi sforzi di solito sono ben ripagati :) In alternativa puoi provare a leggere Caro Michele, un romanzo epistolare delicatissimo, poco o per nulla autobiografico a differenza di Lessico Famigliare.

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  6. Libro che ho amato molto. La tua recensione è eccellente.

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