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Molto forte, incredibilmente vicino: dal libro al film.

by - 15:31

Tante volte abbiamo detto che la letteratura e il cinema parlano linguaggi inevitabilmente diversi, e volendo mirano a rivolgersi ad un pubblico diverso. 
Tante volte, inoltre, abbiamo detto che la letteratura deve necessariamente ritagliarsi uno spazio di narrazione diverso dalla iper-rappresentazione della realtà che oggi non è più solo rappresentato dal cinema e dalla televisione, ma anche da mezzi alla portata di tutti, come internet e i social network. Registrare ciò che accade non è più sufficiente. La rappresentazione fedele del reale, oggi enormemente amplificata dai mezzi di cui sopra, non è più sufficiente. Perché una storia, il suo significato, e il suo messaggio, possano davvero annidarsi, con tutta la loro carica eversiva di domande e perché, nella mente di chi legge, è necessario un quid in più.

Il romanzo è pubblicato  in
Italia da Guanda.
Locandina del film uscito
nelle sale nel 2012.
Solo i narratori puri riescono in questo obbiettivo: ed è questa la differenza principale che può passare tra Jonathan Safran Foer, autore di Molto forte, incredibilmente vicino e Stephen Daldry, regista dell'omonima pellicola. Come sempre si riduce tutto ad una questione di stile narrativo.

Da un lato dunque abbiamo questo scrittore alla ribalta da quasi quindici anni, che ha spiazzato tutti, nel bene e nel male, con uno stile che scardina ogni pretesa di linearità, passando da un io narrante ad un altro con disinvoltura, interrompendo sul più bello la narrazione con lettere, echi di parole già dette, immagini. Insomma coinvolgendo il lettore attivamente nella reale comprensione e immedesimazione in quanto si sta raccontando (pena molto frequente, ahimè, tra i lettori poco attenti, la totale confusione). E che cosa sta raccontando esattamente Foer in Molto forte, incredibilmente vicino? Semplice, una storia davvero comune: quella di un bambino, Oskar Schell, che ha perso il padre l'11 settembre 2001 e cerca disperatamente il senso di quanto è accaduto. Quante storie del genere sono state raccontate? Molte, variando sul tema, davvero molte. E quante nello stile di Foer? Pochissime, forse nessuna, che io sappia.
Ed è proprio su questo interrogativo che entra in gioco il regista Stephen Daldry, che in fondo altro non fa se non prendere in mano la storia di Oskar, scotolarla un po' di tutti quegli elementi di disturbo narrativo voluti e creati da Foer e consegnarla al pubblico, sottraendo alla narrazione quella vitalità che la rendeva tanto speciale e allargando invece lo spazio di una sorta di sensazionalismo fobico che dopo l'11 settembre ha accompagnato milioni di persone.

Le pagine finali del romanzo con le celebre immagini di The falling man,
montate in modo da creare l'illusione che l'uomo non stia precipitando dalla
Torre, ma la stia risalendo sospeso nel vuoto. 

Paura e vitalità bambinesca sono gli elementi voluti da Foer per creare il personaggio di Oskar. Paura per un evento talmente grosso da cambiare le sorti della Storia mondiale; paura per ciò che potrebbe da un momento all'altro accadere di nuovo; paura per una vita già tanto complicata e delicata che dovrà essere adesso essere rimodulata su nuovi schemi, priva com'è della complicità e della protezione del padre; paura per la propria mancanza di coraggio. Al contempo, però, c'è in Oskar una vitalità bambinesca del tutto particolare, che lo spinge a mandare continuamente lettere a personaggi come Stephen Hawking nella speranza di diventare suo allievo, a raccogliere le immagini di ogni singola cosa che lo colpisce in una cartella dal titolo Cose che mi sono capitate, e infine ovviamente la vitalità che muove l'intero romanzo: quella che lo spingerà dapprima a trovare in camera del padre la busta con su scritto «Black» contenente una chiave misteriosa, e poi a rintracciare tutti i Black di New York per risolvere l'enigma, e in definitiva per essere di nuovo vicino al padre, Thomas Schell.

La lista dei Black di New York.
È una sorta di  nostos quello di Oskar, un viaggio per tornare alla familiarità di una vita vissuta col genitore, che lo porterà a conoscere i personaggi (appunto i famosi Black) più disparati. 
Ma non solo, il tutto è intermezzato nella narrazione di Foer dalla storia complicata e sofferta del nonno di Oskar, anche lui Thomas Schell, che, sopravvissuto al bombardamento di Dresda durante la seconda guerra mondiale, ha perso tutto ciò che amava e con esso ogni ragione di vivere. A causa dell'orrore vissuto ha fatto in modo da un giorno all'altro di lasciarsi scivolare le parole di dosso e di vivere nel mutismo, di allontanare da sé l'amore di una donna, stabilendo precisi spazi di Niente e di Qualcosa, e di un figlio, il padre di Oskar, che abbandonerà prima della sua nascita e ritroverà solo alla sua morte. Un sottile filo rosso unisce la disperazione del bambino e quella del nonno, che si intreccerà su stesso ad un certo punto della narrazione. 

Cosa rimane di tutto questo nella trasposizione cinematografica di Stephen Daldry? Ben poco, purtroppo. Rimangono ben amplificate le paure di Oskar, quelle di un'intera nazione che si aspetta un'apocalisse da un momento all'altro, mentre ridotta in sordina è la sua vitalità, legata quasi esclusivamente alla ricerca della serratura che apra la misteriosa chiave. Nulla rimane della narrazione di Thomas Schell nonno, ridotto quasi ad una macchietta di se stesso, senza fornire allo spettatore la precisa chiave interpretativa del suo mutismo e soprattutto del suo allontanamento dal figlio appena nato. Pochissimo rimane dei disparati signori Black che Oskar incontra nel suo cammino, esempi di un'umanità variegata e anch'essa a modo suo disperata nella propria solitudine. E altrettanto poco rimane delle due principali figure femminili del romanzo: la madre e la nonna di Oskar, il cui spazio nel romanzo era determinato soprattutto dai riti protettivi che esse condividevano con il bambino (la cerniera lampo del vestito, il walkie talkie).

Thomas Horn e Tom Hanks in una scena tratta dal film.

Come dicevo, dunque, si è depurata la narrazione romanzesca per affidarla ad una narrazione di  pancia che fa breccia su un largo pubblico cinematografico. Anche la scelta degli attori è probabilmente subordinata a questa precisa necessità: troviamo Tom Hanks nel ruolo di Thomas Schell padre, Sandra Bullock nel ruolo della madre di Oskar, attori di bravura certamente, ma soprattutto appartenenti alla confort zone di un ampio pubblico; mentre stranamente rimane isolata la scelta di Thomas Horn per interpretare il piccolo protagonista, la cui filmografia si riduce praticamente a questa unica pellicola, che però, ammettiamolo, è stata interpretata magistralmente. 

Per tornare dunque al nostro assunto iniziale: sì letteratura e cinema parlano linguaggi diversi, per fortuna. Il romanzo Molto forte, incredibilmente vicino colpisce alle viscere il lettore e lascia basiti di fronte ad uno stile tanto particolare eppure efficace. Il film Molto forte, incredibilmente vicino lascia un tiepido malessere per quanto è accaduto l'11 settembre del 2001 e per il piccolo Oskar, ma nulla di più. 

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4 commenti

  1. C'è poco da fare. Scrittori sono in tanti, ma narratori molti di meno.
    E spesso per il regista avere a che fare con un bravo narratore è dura, perché per forza di cose qualcosa cambia dalla carta alla pellicola, dalle parole alle immagini, e di solito a spese di quel "quid" che rende il libro unico. A quel punto forse la cosa migliore da fare per il regista, anche a scapito di ogni rigore narrativo, è sconvolgere la trama e reinventarla: una specie di smonta-rimonta per fare di quel qualcosa di unico un altra cosa unica.

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    1. Ciao Rosa! Mi trovi perfettamente d'accordo. Sarei stata più felice se in questo caso ci fosse stata da parte del regista una scelta narrativa precisa, per quanto opposta rispetto a quella del romanzo. Che poi probabilmente la maggiore differenza tra film d'autore e film commerciali. Ma in questo caso non la vedo, vedo solo un risciacquo di quanto costruito da Foer.

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  2. Il romanzo è davvero molto forte e dallo stile particolare. L'ho letto anni fa ed è stata un'esperienza intensa (non sono riuscita invece a finire Ogni cosa è illuminata, mollato per noia e con dispiacere). Il film mi sono rifiutata di vederlo perché nella mia testa i personaggi avevano un aspetto completamente diverso da quello di Tom Hanks e Sandra Bullock e perché temevo la blockbusterizzazione di un romanzo troppo delicato e indipendente.

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    1. Ecco, diciamo che i tuoi timori erano assolutamente fondati! Anche io difatti mi sono rifiutata di vederlo per tanto tempo (la pellicola risale al 2012). Poi l'ho trovato su Netflix pochi giorni dopo aver riletto il libro e mi sono convinta.

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