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Il buio oltre la siepe: dal libro al film

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Ci sono libri destinati ad entrare nel Pantheon delle letture universali, che tutti, grandi e piccini, devono leggere almeno una volta nella vita, per trarne insegnamenti ed emozioni che riguardano ognuno di noi: uno di questi è ad esempio la favola più amata di tutti i tempi Il piccolo principe, un altro, quasi certamente altrettanto letto e apprezzato, è Il buio oltre la siepe di Harper Lee.

Prima edizione italiana
del 1962.
Prima edizione americana
del 1960.
Uscito per la prima volta negli Stati Uniti nel 1960, con il titolo, a mio parare molto più affascinante del suo corrispettivo italiano, To kill a mockingbird (letteralmente: uccidere un usignolo), questo romanzo ha immediatamente riscosso un successo mondiale, tanto da essere pubblicato due anni dopo in Italia dall'editore Feltrinelli
Per chi non la conoscesse la trama è presto detta: siamo in una piccola cittadina dell'Alabama, all'inizio degli anni Trenta, e in questo Sud tanto colpito dalla Grande Depressione, crescono due fratelli Scout (il cui vero nome è Jean Louis) e Jem (diminuitivo di Jeremy). Orfani di madre, vengono accuditi ed educati dalla governante afroamericana Calpurnia, e dal padre Atticus Finch. La figura del padre è un fondamentale snodo e punto di riferimento di tutto il romanzo, dal momento che egli, un avvocato d'ufficio, accetterà di difendere in tribunale un uomo di colore accusato di aver violentato una donna bianca. Nell'Alabama degli anni Trenta non poteva esistere gesto più rischioso e allo stesso tempo coraggioso. È proprio attraverso questa vicenda che i due piccoli Scout e Jem conosceranno la reale natura della società in cui vivono, una società in cui il razzismo e la diffidenza nei confronti di chiunque sia diverso continua a regnare sovrano. E il sentimento della diversità nel romanzo ha una sua precisa incarnazione nel personaggio di Boo (Arthur) Radley, un vicino di casa, probabilmente affetto da disturbi dello sviluppo che per questa ragione vive praticamente recluso in casa: da lui Scout e Jem sono irrimediabilmente attratti eppure allo stesso tempo, senza alcuna ragione concreta, spaventati. 

Già da questo piccolo riassunto risultano subito chiare le ragioni che hanno fatto di questo romanzo un long seller, soprattutto se consideriamo il particolare momento storico vissuto dagli Stati Uniti all'epoca della sua pubblicazione: esisteva ancora a tutti gli effetti una sorta di segregazione razziale (soprattutto negli stati del Sud), mentre i primi fermenti politici iniziavano a esplodere in tutto il paese. Una certa fetta della società americana pertanto sentiva davvero la necessità di identificarsi nei valori universali trasmessi dal libro. 

Non stupisce pertanto che nel 1962, mentre le traduzioni del romanzo impazzavano in tutto il mondo e Harper Lee vinceva il Premio Pulitzer, il regista Robert Mulligan abbia deciso di realizzarne un film. 
Il soggetto della trasposizione cinematografica segue molto fedelmente l'andamento del libro, in virtù del grande successo ormai ottenuto da quest'ultimo: in questa maniera chi aveva già amato il romanzo poteva pienamente ritrovarsi tra le scene del film. Eppure, una delle impressioni che più salta all'occhio, è l'assoluta focalizzazione sul personaggio Arthur Finch, interpretato da una star allora d'eccezione, cioè Gregory Peck. Se il romanzo cioè segue più pedissequamente le orme della crescita e dello sviluppo della piccola Scout (intepretata qui da Mary Badham), il film si concentra sulla grande figura dell'avvocato: uomo saggio e magnanimo, egli diventa il padre e la guida che tutti nel nostro percorso di formazione avremmo voluto. 

Magistrale è da questo punto di vista la lunga sezione dedicata al processo, in cui tutta la comunità afroamericana del piccolo paese dimostra ad Arthur Finch il proprio rispetto e la propria incondizionata lealtà, alzandosi e scoprendosi il capo al suo passaggio, nonostante la sconfitta che egli ha appena subito. La figura di Gregory Peck pertanto spicca in maniera assoluta su tutte le altre, per la sua levatura morale, ma aggiungerei anche fisica, rispecchiando quell'immagine di eroe coraggioso e prestante tipicamente americana. Vedo pertanto nel film una certa insistenza ideologica che nel libro non emerge così prepotentemente. Anche la stessa figura di Boo Radley risulta leggermente sottodimensionata: mentre la sua oscura e misteriosa immagina domina buona parte dell'immaginario della prima parte del romanzo, qui si trasforma in una sorta di pretesto alla personificazione del diverso, e quando alla fine finalmente entra in scena (interpretato da un giovanissimo ma sempre riconoscibile Robert Duvall) lo spettatore meno attento quasi se n'era dimenticato. 
Tutto questo a mio parere viene indubbiamente giustificato dalla natura particolarmente conservatrice, e come dire, bonaria delle case di produzione cinematografiche statunitensi di allora, da una certa tendenza alla rappresentazione americana dei valori sociali: pertanto non condanno questo film ma anzi lo considero un ottimo prodotto dei cosiddetti film "d'altri tempi". D'altronde, non senza ragioni la pellicola vinse tre Premi Oscar (tra cui quello come migliore attore protagonista a Gregory Peck). 

Di certo però avrei preferito una focalizzazione più profonda sul personaggio della piccola Scout e della sua saggia ingenuità, pari a quella presente nel romanzo, forse più libero da condizionamenti ideologici e di mercato rispetto alla pellicola cinematografica. Splendido è invece il rapporto tra Atticus e i due figli: l'immagine di un padre che supplisce come può la mancanza della figura materna è sempre molto intensa, e lo è ancora di più se pensiamo ai modelli genitoriali, certamente più duri, dell'epoca. 


Che dire, attendiamo con ansia l'uscita di Go, set a watchman, prevista in Italia per novembre con il titolo Va', metti una sentinella, e chissà che non ne venga tratto un film destinato anch'esso a diventare un evergreen del nostro immaginario.


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